Celebrare oggi il 25 novembre, giornata per l’eliminazione della violenza sulle donne, diventa importante, perché in questo momento così drammatico, abbassare l’attenzione su quest’altro dramma diventa pericoloso e i dati ci danno ragione.

L’emergenza generata dall’epidemia di coronavirus ha accresciuto il rischio di violenza sulle donne, in tutto il mondo.

In Italia l’ISTAT, che ha preso in esame le chiamate al numero verde 1522 durante il lockdown, rileva che c’è stato un incremento della richiesta d’aiuto del 73% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.

Inoltre il 45,3% delle vittime ha paura per la propria incolumità o di morire, ma la cosa più sconcertante è che il 72,8% non denuncia il reato subito perché il rimanere a casa rende più difficoltoso chiedere aiuto.

Così 32 sono le donne uccise da gennaio a giugno 2020.

La motivazione, a detta degli esperti, va ricercata nella situazione che stiamo vivendo: l’isolamento che ha modificato la rete di protezione sociale ha ridotto l’accesso ai servizi, agli aiuti, ai supporti psicosociali delle reti sociali formali e informali dei territori.

Si sono ridotti, se non azzerati, i contatti con i membri della famiglia e gli amici che potrebbero aiutare le donne nei casi di violenza domestica.

La stessa situazione produttiva, lo stress economico, il potenziale rischio di perdere il lavoro, aumenta l’irritabilità e la rabbia sociale all’interno delle famiglie.

Così, mentre il distanziamento sociale ci difendeva dalla pandemia che ha portato le persone a rimanere tutti più in casa, in quella casa che per tutti noi è il rifugio contro il Coronavirus, per alcune donne la casa è diventata una vera e propria prigione.

Allora è sempre bene non abbassare la guardia su queste tematiche e mantenere vivo la responsabilità di far qualcosa per l’eliminazione della violenza contro le donne.

L’impegno può essere collettivo e personale.

 

Impegno collettivo

Ci vede presenti in quelle battaglie che sollecitano le istituzioni e le autorità competenti a rafforzare tutti quegli atti e azioni necessarie a tutelare le donne, a sostenere le associazioni femminili, a costruire reti di comunità che mettano insieme tutti i livelli: forze dell’ordine, centri antiviolenza, case rifugio, reti socio-sanitarie territoriali.

Soprattutto richiamare la politica ad affrettare quelle procedure per l’erogazione dei fondi statali per i centri antiviolenza, le case rifugio affinché non subiscano ulteriori ritardi, ritardi che mettono a rischio la loro operatività e il loro lavoro preziosissimo.

 

Impegno personale

Ognuno di noi genitore, nonno, insegnante, può prevenire queste tragedie se fa il suo dovere di educatore e se concentra la sua opera educante in una formazione culturale, sociale, paritaria, ma rispettosa delle diversità, una affettività sana ed equilibrata, una sessualità riguardosa dell’altro.

Si cresce donne forti attraverso un contesto socio familiare, una comunità educativa che unisce le proprie risorse per assecondare i talenti, le passioni, al di là del sesso di appartenenza, che insegni a porsi obiettivi reali e non chimere mediatiche che vogliono le ragazze tutte veline.

Far crescere i nostri giovani, le nostre ragazze, entro una rete di relazioni positive, fortifica la loro personalità, favorisce la costruzione di rapporti interpersonali appaganti, ma soprattutto aiuta a mantenersi lontani da quei legami malsani, squilibrati e violenti. O, almeno, aiuta a riconoscerli e ad avere la forza di fuggire per poi farsi aiutare.

Possiamo crescere ed educare delle principesse o delle guerriere, basta che consolidiamo in loro l’autostima, il rispetto per se stesse, la dignità di essere persone.

Solo attraverso questo lavoro, questo connubio fra impegno collettivo, individuale e parentale, possiamo offrire una speranza concreta alle donne e soprattutto rendere onore alle tante vittime di violenza.

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Marica Renai

Marica Renai è membro della Segreteria Comunale del Partito Democratico di Pontassieve e componente della Direzione Metropolitana di Firenze.
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