Contesto istituzionale
Viviamo in un periodo di grandi cambiamenti e anche quello che può sembrare più immobile è soggetto a una trasformazione continua anche se non sempre percettibile. Questo riguarda anche gli assetti istituzionali che rappresentano il livello, il numero, la grandezza e le funzioni degli enti pubblici. Ci sono insieme tendenze profonde che vengono dal passato e riforme attuali che il governo sta portando avanti.
In tutte le democrazie più evolute da molti anni si sta affermando un progressivo rafforzamento degli organi esecutivi rispetto alle assemblee elettive. Questo percorso in Italia inizia negli anni novanta, prima con l’elezione diretta dei sindaci (1993), poi con quella dei presidenti di regione (1995) fino ad arrivare alla recente legge elettorale, il così detto Italicum, che prevede il premio di maggioranza a chi supera il 40% delle preferenze e nel caso in cui non accada si va al ballottaggio. È una legge che individua un vincitore in maniera chiara e lo mette nelle condizioni di governare. A questo quadro va aggiunta la Riforma Costituzionale che, da una parte supera il bicameralismo perfetto, trasformando il Senato in una camera delle autonomie con poteri limitati (non dà più la fiducia al governo e dispone di un potere legislativo parziale), ma comunque molto importanti nell’ambito regionale e locale, oltre alla innovativa competenza sulla valutazione delle politiche e alla facoltà di concorrere all’individuazione delle materie di competenza rispettiva dello Stato e delle regioni, che tanto contenzioso ha portato, relativamente alla materia concorrente, negli ultimi 15 anni.
Il rafforzamento degli esecutivi e la ridefinizione delle funzioni convergono con i nuovi assetti istituzionali a seguito della Legge 56/2014 (legge Delrio) declinati in Toscana tramite la legge regionale 22/2015. Con la Delrio le province diventano enti di secondo livello non elettivi ai quali rimangono solo alcune funzioni fondamentali, mentre la riforma costituzionale toglie ogni riferimento ad esse dalla nostra carta fondamentale. Inoltre la Delrio ha finalmente istituito le città metropolitane con una missione concentrata, oltre alle maggiori competenze rispetto alle nuove province, sullo sviluppo economico (già oggi le città metropolitane contribuiscono a oltre il 20%d del PIL nazionale), e promuove con forza le unioni e fusioni dei comuni. La legge regionale 22/15 definisce la Città Metropolitana come un ente di governo del territorio e coordinamento dei comuni e redistribuisce le funzioni provinciali tra regione e comuni. Molte funzioni tornano direttamente alla regione (ai sensi dell’art. 2 della legge ricordiamo agricoltura, caccia e pesca, orientamento e formazione professionale, ambiente e energia, governo del territorio), altre (art. 4) ai comuni che, nel caso dello sport, della forestazione e del turismo, devono gestirle in maniera associata. Il principio che sta alla base della Delrio e della L.R. 22/2015 è quello della ricerca delle dimensioni ottimali per programmare ed erogare i servizi, quello che nella Costituzione, all’art.118, è chiamato principio di “adeguatezza”. Inutile parlare, come si fa in molte leggi sulla pubblica amministrazione, di efficienza,efficacia ed economicità, se insieme non consideriamo anche l’adeguatezza, cioè il livello e le dimensioni che meglio rispondono alle esigenze del territorio; la ricerca di una migliore coincidenza tra Istituzioni e territorio nella definizione e implementazione delle politiche.
Ripercorrere questo articolato iter normativo ci permette di evidenziare come i nuovi assetti istituzionali, le leggi elettorali e le riforme costituzionali si configurano all’interno di un passaggio storico da una democrazia consensuale, figlia del dopoguerra e della Prima Repubblica, nella quale la legittimazione era data dalla rappresentanza delle forze politiche, a una democrazia maggioritaria 10 nella quale, accanto alla legittimazione basata sulla rappresentanza, se ne affianca un’altra, più sostanziale, legata all’efficacia delle politiche, alla capacità di dare risposte ai cittadini. Le fondamenta di questa nuova architettura istituzionale si basano sulla stabilità degli esecutivi, locali, regionali e nazionali, e sull’adeguatezza dei livelli istituzionali rispetto ai compiti che devono svolgere.
Superare la frammentazione: fusioni, unioni dei comuni
Su questa linea il PD toscano si è posto come obiettivo centrale delle politiche di governo il superamento della frammentazione, così da generare economie di scala e, soprattutto, nuovo valore. Sul piano della definizione delle politiche pubbliche questo significa pensare un livello di area vasta (accennato anche nella riforma costituzionale) per la programmazione delle politiche e un livello di zona sovra comunale per l’erogazione dei servizi.
In questa logica obiettivi prioritari sono rappresentati dal portare a compimento il superamento delle province, accorpare le aziende dei servizi fino a farne una unica, ridurre il numero delle aziende USL (da 12 a 3 con la nuova L.R. 28/2015), lanciare l’idea di una macroregione e spingere l’acceleratore sulle unioni e soprattutto fusioni dei comuni.
I comuni come li abbiamo conosciuti fino ad oggi non sono più in grado di erogare i servizi e rispondere ai bisogni dei cittadini, vanno pensate nuove soluzioni e nuovi assetti istituzionali a partire da un principio etico fondamentale: nei momenti di crisi dobbiamo mettere insieme le forze e tirare fuori il meglio di noi stessi.
Fusioni e unioni dei comuni non sono in contraddizione, anzi sono complementari, riguardano due livelli diversi.
Le unioni sono una modalità per gestire insieme dei servizi (ad esempio quelli socio sanitari, le politiche educative, i servizi alle imprese, le funzioni che derivano dalle vecchie province) e configurare le vocazioni e il peso di rappresentanza di un territorio. Le fusioni sono la vera semplificazione, la riduzione del numero degli enti che permette di creare risparmi e valorizzare le risorse, fra l’altro liberando il comune per 5 anni dai vincoli del patto di stabilità e prevedendo le modalità per creare una nuova comunità nella maniera più democratica, cioè lasciando la decisione finale ai cittadini tramite referendum.
Decisivo è il ruolo dei sindaci, dei consigli comunali e dei partiti nel lanciare la proposta e nel sostenerla; nello spiegarne le ragioni nel quadro di percorsi che devono essere aperti e inclusivi, perché non c’è maggioranza e opposizione mentre si sta costruendo una casa comune.
Non ci sono “ricette della nonna” quando si parla di unioni e fusioni dei comuni, ma sulla base delle esperienze che ci sono state e anche delle analisi fatte in molti incontri credo che, nella maggior parte dei casi, si debba lavorare verso fusioni strette (di due-tre comuni) e unioni dei comuni larghe, potremmo immaginare della dimensione delle zone socio sanitarie.
Una riflessione diversa meritano le possibilità di fusione che hanno iniziato a discutere le grandi città della Toscana con i comuni della propria cintura. Dopo Firenze anche Pisa, Siena e Arezzo iniziano a parlare di allargare i propri confini. Per le grandi città lo stimolo alla fusione non deriva certo dai finanziamenti regionali e nazionali aggiuntivi, che nel loro caso sono veramente molto bassi rispetto ai bilanci. Se mai un vantaggio importante è, invece, anche per essi, quello dello sblocco del patto di stabilità per 5 anni che permette di liberare importanti risorse ferme da anni e di programmare la spesa in maniera più efficiente.
Le città ripensando il governo del territorio in un ambito più grande valorizzano nuove vocazioni e sviluppano nuove sinergie, oltre a ridurre quelli che Irpet chiama costi di transazione delle decisioni e rendere più efficaci le politiche (per Firenze pensiamo all’aeroporto, al sotto attraversamento ferroviario e alla tramvia). Inoltre si riducono anche i costi che derivano dal erogare servizi a molti cittadini che non sono propri residenti, la mancata corrispondenza tra finanziatori e utenti dei servizi pubblici offerti. Quando parliamo di efficienza e efficacia dovremmo imparare ad affiancare come dicevamo precedentemente anche il concetto di adeguatezza. Ma il vero empowerment delle nuove grandi città é legato alla loro maggiore competitività territoriale, questa componente ricomprende 11 altri aspetti più immateriali, riguarda la fiducia in noi stessi quando accettiamo una sfida che guarda al futuro, che ha l’ambizione di costruire una nuova comunità e di mettere insieme le forze invece di accettare la crisi, un’innovazione che riconfigura e ricomprende il capitale sociale, i percorsi della storia, le identità, le opere d’arte e il senso del bello che sempre sono andate oltre le mura cittadine. Firenze, Siena e Arezzo sono state grandi perché grandi sono stati i loro territori. Ritornare ad essere quello che siamo, questo significa fare grande politica oggi.
Guardiamo avanti e non ci scordiamo mai che il vero costo della politica è quello delle decisioni mancate.
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