Nei mesi scorsi sono passate davanti ai nostri occhi, immagini che ci hanno riportato terribilmente indietro in un passato che conosciamo bene.
Corpi accatastati all’interno di camion che ricordano gli ultimi convogli di Dachau. Chilometri di filo spinato per segnare i confini geografici ed ideologici del governo di estrema destra ungherese. Bambini, donne, uomini con numeri scritti sulle braccia, schedati e messi in aree di quarantena in attesa di essere distribuiti in Europa in base a parametri di natura economica. Decine, centinaia, migliaia di esseri umani che perdono la vita nel tentativo di attraversare il mediterraneo.
Possibile che stia accadendo ancora? E di nuovo nel cuore della civilissima Europa, spesso nella totale indifferenza dell’opinione pubblica. Indifferenza che colpisce anche noi, perché le immagini ci scorrono sull’iphone o il pc, mentre siamo immersi in altre 100 cose e queste immagini seppur terribili, rischiano di catturare la nostra attenzione solo per pochi istanti.
Noi più degli altri, dobbiamo essere consapevoli, che per l’indifferenza di oggi, ci sarà presentato il conto domani. Qualcuno, un figlio, un nipote, ci chiederà, ma voi cosa avete fatto mentre l’Europa veniva attraversata da popolazioni che scappavano?
E’ un dovere morale imprescindibile levare la nostra voce, farla sentire, forte, alta per cercare di contribuire a mutare un clima, ad influenzare nuove politiche, a chiedere più Europa, a non far sentire soli i nuovi deportati, i deportati dalla storia.
Sì, perché è cosi che alcuni mezzi di informazione li stanno chiamando: nuovi deportati. Senza dubbio un termine forte, soprattutto per le sensibilità interne alla nostra Associazione, perché noi più di ogni altro conosciamo in una profondità quasi assoluta, quanta sofferenza evoca la parola “deportati”.
Ma vi chiedo uno sforzo, andiamo oltre l’ANED, guardiamoci attorno e rivolgiamoci ai nostri contemporanei, io non credo che l’opinione pubblica consideri questo paragone come un qualcosa di azzardato o di offensivo.
Di fronte ad uno scenario del genere dobbiamo chiederci se stiamo facendo abbastanza. Certo facciamo già tanto se teniamo conto delle nostre forze, andiamo nelle scuole, pubblichiamo libri, prepariamo e svolgiamo i viaggi della memoria.
Ma insieme a tutto questo abbiamo anche l’obbligo morale di essere vigili, di denunciare derive pericolose, di far notare quanta rimozione c’è attorno al tema dell’antisemitismo, di far capire quanto il razzismo, la xenofobia, l’omofobia, spesso rappresentino l’anticamera per il baratro. Spesso rappresentino un fucina di “argomenti per lo sterminio”.
Del resto siamo noi, quelli che ripetono da sempre: chi non ricorda il proprio passato è costretto a riviverlo.
Oggi assistiamo ad una sorta di tempesta perfetta, ci siamo dentro, ma ancora fino ad un certo punto. La cittadella del benessere continua a restare asserragliata, con le sue malattie del benessere, le sue tecnologie del benessere, i suoi sprechi, la sua inedita capacità di inquinare. Fuori imperversa di già la tempesta perfetta.
Le previsioni del Club di Roma contenute nel Rapporto sui limiti dello sviluppo, pubblicato nel 1972, si sono dimostrate corrette. Le principali agenzie che si occupano di analizzare la localizzazione delle risorse fossili, hanno ormai chiaro che il petrolio, raggiungibile ad un costo sostenibile per l’economia mondiale, ha raggiunto il suo picco estrattivo già da anni,
e tra poco si esaurirà. Per dirla in due parole, sta finendo. Siamo dentro una gigantesca crisi energetica, motore di sommosse, rivolte, instabilità politica, anche alle porte di casa, come per la vicenda di un paese sovvenzionato dalle grandi potenze come l’Egitto.
Le guerre imperversano a macchia di leopardo su una parte significativa del Pianeta, e sono diventate guerre asimmetriche, dalle forme irriconoscibili, imprevedibili e spesso non contenibili come in passato. Si tratta spesso di guerre che abbiamo favorito, che non abbiamo saputo prevenire e disinnescare, che abbiamo armato noi, che abbiamo preparato e a cui abbiamo preso anche parte per difendere il nostro benessere, e i nostri privilegi. Su questo si innesta necessariamente la principale risorsa del pianeta, anche essa esauribile, ovvero l’acqua buona da bere. Per non parlare dei cambiamenti climatici e degli sconvolgimenti che questi portano in giro per il mondo.
Tutto questo causa non un percorso migratorio, più o meno volontario, più o meno di “qualità”, più o meno comprensibile o governabile. Tutto questo causa una fuga di massa di persone terrorizzate e disposte a tutto pur di scappare dalla morte certa, dalla tortura, da una sciagura climatica che ha reso incivile la loro terra. Un’onda di esseri umani, di tutte le età, che non ha altra alternativa. Non hanno alternativa ad affrontare un viaggio spaventoso in mare aperto, a camminare per settimane, ad affrontare la fame con i propri figli in braccio, a scontrarsi contro un muro di poliziotti armati e incattiviti come forse non avrebbero mai immaginato.
I “nuovi deportati” dalla storia non vengono messi su di un treno a forza e spediti in un campo di concentramento dopo un rastrellamento. È ovvio che si tratta di una storia diversa. Ma vediamo nei loro occhi terrorizzati, devastati dall’ansia e dalla paura di vedere il proprio figlio di tre anni morire davanti a loro, per poi andare incontro loro stessi ad una certa morte orribile, qualcosa che purtroppo ci è straordinariamente familiare.
Rispondiamo alzando muri?
L’immagine di quelle folle di rifugiati e richiedenti asilo che alla fine travolgono il robusto cordone della polizia è un’immagine emblematica, fortissima, che racconta di un futuro che inesorabilmente ci travolgerà. Proprio perché siamo dentro un cambiamento epocale.
Dopo 200 anni in cui un quinto dell’umanità si è appropriato dei quattro quinti della ricchezza della terra, ora le cose tendono a riequilibrarsi. Certo lentamente, ma anche costantemente e soprattutto irreversibilmente. Un dato, a riprova di quante illusioni ci stiamo facendo. Per la prima volta nella nostra storia l’82% del miliardo e duecento milioni di posti di lavoro creati negli ultimi 30 anni, sono stati creati in Asia, America Latina e – soprattutto – Africa. Il nostro Occidente opulento, sviluppato ed autoreferenziale si è aggiudicato un misero 18%. Che non a caso, corrisponde al nostro peso demografico.
Dunque l’equilibro tra peso demografico e capacità di generare ricchezza e lavoro è già profondamente mutato. Non era mai accaduto, ora sta accadendo e per la prima volta nella nostra storia il lavoro diventa un bene scarso.
È la rivincita dei paesi che noi ipocritamente chiamiamo “poveri” e che invece sono stati semplicemente “derubati”. Nostra è infatti l’esperienza del colonialismo, e anche di questo vediamo i frutti oggi.
Questo genera un clima ed un’atmosfera che a tanti ricorda inevitabilmente l’atmosfera della Repubblica di Weimar. Non la smetteremo mai di ripetere che la storia non si ripresenta mai nella stessa veste, ma ci sono degli elementi che ci fanno temere una deriva potente, come poi avvenne negli anni immediatamente successivi all’esperienza che porta il nome della piccola cittadina tedesca.
Il rapporto Global trends dell’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni unite che si occupa appunto di rifugiati, e riferito al 2014, parla di 60 milioni di “migranti involontari” nel mondo. Rispetto ai 51,2 milioni di un anno prima e ai 37,5 milioni di dieci anni fa. L’incremento rispetto al 2013 è stato il più alto mai registrato in un solo anno. L’incremento spaventoso del 2015 è sotto gli occhi di tutti. Ma noi, continuiamo a ritenerci su di una barca diversa, per cui sostituiamo “Mare Nostrum” con “Triton”, schieriamo eserciti, chiudiamo le stazioni dei treni, erigiamo muri e barriere di filo spinato.
Sappiamo bene che non sta all’ANED trovare una soluzione, però abbiamo il dovere morale di non restare in silenzio. Perché noi siamo l’ANED, siamo nati per il coraggio di coloro che hanno avuto la forza di schierarsi, di prendere parte attiva, per contribuire alle sorti della storia del nostro Paese.
Con questo documento leviamo alta e forte la voce dell’Aned, con il quale chiediamo un corridoio umanitario per i profughi e i rifugiati, un’accoglienza dignitosa, chiediamo di sanzionare paesi come l’Ungheria, vergogna ancora una volta dell’Europa e del mondo intero. Chiediamo alla Comunità Europea di valutare i singoli paesi dell’unione sulla base di bilanci con parametri di natura sociale e non prettamente economici.
Tutto questo con la profonda consapevolezza che rifiutarsi di cedere la proprio umanità, non significa affatto, né dovrà mai significare, cedere sul versante delle conquiste irrinunciabili della nostra civiltà. Non c’è infatti alcuna parola né nessun concetto possibile, atto a giustificare fatti come quelli accaduti nella notte di Capodanno a Colonia, in Germania. L’inviolabilità delle donne è infatti una delle nostre conquiste più importanti, irrinunciabile, in nessun modo e in nessuna circostanza negoziabile. “L’unica rivoluzione riuscita del ‘900”, diceva lo storico Eric Hobsbaw. Il vero parametro per giudicare la riuscita di una delle rivoluzioni o “primavere” che si parano dinanzi ai nostri occhi in questo nuovo secolo. I diritti delle donne, la parità, il diritto assoluto all’inviolabilità. Proprio perché coltivare la nostra umanità e sostenere in tutti i modi possibili i “nuovi deportati”, non significa mai, ma proprio mai, mettere da parte o in discussione le nostre conquiste di civiltà.
Non dobbiamo aver paura. Non dobbiamo mai dimenticare le parole di Primo Levi: “è accaduto, quindi può accadere di nuovo”. E non dobbiamo mai dimenticare le parole di Elie Wiesel: “Il contrario dell’amore non è l’odio, è l’indifferenza”.
Il Consiglio Direttivo
ANED Firenze
ANED
Associazione Nazionale ex deportati nei campi nazisti
Sezione di Firenze
Via M. Buonarroti, 13 – 50122 Firenze (FI)
Tel. 055 241786 Email anedfirenze@gmail.com
Web www.anedtoscana.it
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